Sono un giornalista d’inchiesta. Me lo scrisse il professore di Lettere,
il latinista Alberto Ricchetti, motivando un doppio voto, 4 e 10: “Sei
fuori tema o, se è come penso, sei un giornalista”. Una delle tracce del
compito in classe era dedicata alla guerra civile nella ex Jugoslavia,
anni prima del bombardamento della Nato su Belgrado in risposta
all’invasione del Kosovo. Avendo seguito anche il
giornalismo ‘not embedded’, scrissi che in ogni conflitto esistono
interessi economici e geopolitici, nonchè torti e crimini da ambo le
parti. La pulizia etnica operata dai miliziani del presidente Slobodan
Milosevic, ad esempio, non può far dimenticare le violenze degli
Ustascia, i fascisti croati che perseguitarono i serbi residenti
massicciamente in Krajina. Come tanti ragazzi dell'epoca scoprii la
passione civile nel biennio di Mani Pulite, la rabbia impotente per
Capaci e via D'Amelio. La molla decisiva però, quella che mi fece
"sentire" le parole del maestro di liceo, fu la visione casuale de 'Il
muro di gomma' di Marco Risi: la storia dell'inchiesta giornalistica
sulla strage di Ustica. Il compito della nostra categoria è fondamentale
per la qualità di una società democratica: andare oltre la superficie
delle verità di comodo può essere rivoluzionario poiché fornisce alla
cittadinanza gli strumenti per capire e dunque per difendersi dalle
ingiustizie, siano esse ai danni del singolo o della collettività. Nel
1996 iniziai a raccontare la realtà emiliana per la Gazzetta di Modena e
la Gazzetta di Reggio, pagato 5mila lire ad articolo. Giravo come una
trottola per i paesini di provincia occupandomi di lotte ambientaliste,
crisi del tessile-abbigliamento, privatizzazione di servizi nella scuola
e nella sanità. Conquistai la prima-prima pagina per un gruppo di
volontari che protestavano tenacemente contro la chiusura del loro
ospedale: minacciavano di ritirare i sofisticati macchinari che avevano
donato per lustri al San Sebastiano di Correggio, nosocomio a misura di
donna, rinomato per il parto in acqua, la mammografia e la chirurgia
dolce. Ricordo anche le due ultime spigolose interviste: la segretaria
dei Verdi Grazia Francescato, unica donna a guidare un partito italiano,
vibrava di passione civile al ritorno dal raduno dei movimenti no
global al Wto di Seattle; Renzo Testi, presidente di Coop Nordest, mi
confidò il malessere per la perdita di identità dei Democratici di
Sinistra. Prima e dopo il servizio civile nella struttura protetta di
Carpi, consistito nel torturare gli anziani ospiti con la lettura dei
giornali del mattino, riuscivo a mantenermi cambiando vari mestieri.
Vinto il concorso per un posto da impiegato in Comune, abbandonai presto
per senso d’inutilità; da agente assicurativo non riuscii a vendere una
polizza, andò meglio da sportellista presso un’Agenzia ippica. Nel
frattempo continuavo a scrivere sul freepress VivoModena e gratuitamente
sul sito centomovimenti, per il quale mi occupavo di politica e
giustizia: http://www.centomovimenti.com/2004/dicembre/13_mafia.htm.
Nel 2003, per iniziativa di Roberto Serio, direttore di Vivo e
corrispondente de l’Unità, fui assunto nella radio legata al freepress:
Modena Radio City. La maggior parte del lavoro, ovvero sintesi delle
notizie d’agenzia e lettura del radiogiornale, non era il giornalismo di
mia convinzione, ma è stata un’esperienza comunque arricchente sul
piano culturale. In quel periodo, pur essendo una piccola radio,
sviluppammo nuovi programmi e finestre informative sul campo. Ad esempio
mi occupai dell’attentato ‘ndranghetista all’Agenzia delle Entrate di
Sassuolo, un attacco allo Stato in controtendenza rispetto alla
strategia della sommersione tipica delle mafie al centronord. Il 26
luglio 2006 affiliati alla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto, quella
che ha fatto eleggere coi brogli in Germania il senatore del Pdl Nicola
Di Girolamo, fecero saltare in aria gli uffici con un chilo di pentrite,
esplosivo cinque volte più potente del tritolo. I funzionari pubblici
avevano avuto l’ardire di rilevare una frode di Iva che nascondeva uno
spaventoso giro di riciclaggio tra la Svizzera e le Isole Vergini. Tra
le macerie fumanti parlai col direttore dell’Agenzia percependo il suo
terrore. La mattina stessa Paolo Pelaggi, crotonese che gestiva la ditta
di Maranello colpita dall’accertamento fiscale, l’aveva chiamato per
dirsi dispiaciuto e, naturalmente, “a disposizione per ricomprare
macchinari”. Il caso volle che l’anno seguente nascesse L’Informazione
di Modena, quotidiano del gruppo di Erminio Spallanzani (settori acciaio
ed edilizia) edito anche a Parma, Reggio Emilia e poi Bologna sulle
ceneri de Il Domani. Il nuovo giornale spezzava gli equilibri tra le
testate locali, Gazzetta (gruppo L’Espresso) e Resto del Carlino (gruppo
Monti Riffeser). Dopo un’estate passata ad approfondire lo studio di
leggi e codici, presi a occuparmi di cronaca nera e giudiziaria. Il
decano del giornalismo locale mi accolse così: “Questo è una mina
vagante”. Molti articoli, che purtroppo non sono più rintracciabili
perchè alla chiusura de L’Informazione l’archivio online è stato
cancellato, riguardavano – e in alcuni casi sospingevano – le indagini
sul malaffare e sulla penetrazione delle mafie: camorra casalese, cosche
calabresi, Cosa nostra corleonese e Stidda. Nel settembre 2009 ho
iniziato a collaborare con Il Fatto Quotidiano per la versione cartacea e
in seguito anche online. Quando le inchieste hanno colpito, oltre che
la mafia militare, i fili del Potere politico-istituzionale e
finanziario, sono stato travolto da vari problemi. Tutto nel giro di un
paio di mesi. A livello economico ho perduto la sicurezza per
l’improvvisa chiusura nel febbraio 2012 de L’Informazione, rimasta senza
gli annuali contributi per la stampa in seguito ad accuse rivolte
all’editore del giornale, poi rivelatesi infondate; inoltre ho subìto
due cause intimidatorie (finora tutte le querele per diffamazione sono
state archiviate e rigettate, incrociamo le dita) con richieste di
risarcimento di 500mila e 1 milione di euro. La più pesante è stata
intentata da una cooperativa per la puntata di Report, che mi intervistò
sulle speculazioni edilizie e il primo caso di rapporti tra mafia e Pd
in Emilia, nel Comune appenninico di Serramazzoni. Eppure ritengo di non
aver fatto nulla di speciale, se non esercitare fino in fondo il
diritto-dovere di informare. Da allora ho utilizzato il tempo libero per
viaggiare, dunque indagare su nuove vicende, confrontarmi con altre
esperienze, sviluppare collegamenti che l’indole, più che la
deformazione professionale, suggerisce. Per 18 mesi ho lavorato alla
realizzazione di Tramonto Rosso, un libro inchiesta sulle ragioni della
mutazione antropologica della sinistra italiana, scavando sui personaggi
chiave e sugli scandali più o meno noti che investono i gangli del
‘Potere Democratico’.
Stefano Santachiara
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