CAPPELLETTI
Se, come spesso si dice, la Romagna è il regno della buona tavola (direi che qui siamo in tanti a trovarci d’accordo), allora i Cappelletti (con o senza brodo) devono sicuramente far parte della famiglia reale. Che buoni!
I cappelletti romagnoli sono un piatto gustosissimo e tradizionale della cucina romagnola, piatto che si può assaporare nelle cucine della Romana e che non può mancare, lo dice la tradizione, durante il pranzo di Natale in famiglia.
I cappelletti romagnoli presuppongono la presenza di un'azdora che tiri la sfoglia e li prepari a mano, “chiudendoli”ad uno ad uno. Da queste parti succede ancora e chi ci guadagna è il palato.
Non sappiamo con esattezza da quanto tempo esistano i cappelletti, ma un’interessante testimonianza ce ne parla fin dal 1811, quando fu promossa un’indagine sulle tradizioni, le usanze, i dialetti e le superstizioni degli abitanti delle campagne. Nel rapporto dell’allora prefetto di Forlì si legge che: “A Natale presso ogni famiglia si fa una minestra di pasta col ripieno di ricotta che chiamasi cappelletti”. "L'avidità di tale minestra è così generale," egli continua "che da tutti, e massime dai preti, si fanno delle scommesse di chi ne mangia una maggior quantità”. Pare, dunque che già agli inizi 1800 la tradizione dei cappelletti si fosse già affermata.
Non confondiamo il cappelletto col suo cugino bolognese: il tortellino, che nel ripieno contiene carne. La tradizione locale in genere non ammette carne nel ripieno del cappelletto, anche se a volte si possono incontrare eccezioni e, preferibilmente, li vuole in brodo, anche se si sta diffondendo una versione “asciutta”che si accompagna al ragù di carne.
Ma lasciamo la parola al Maestro ed alla sua ricetta:
I cappelletti romagnoli sono un piatto gustosissimo e tradizionale della cucina romagnola, piatto che si può assaporare nelle cucine della Romana e che non può mancare, lo dice la tradizione, durante il pranzo di Natale in famiglia.
I cappelletti romagnoli presuppongono la presenza di un'azdora che tiri la sfoglia e li prepari a mano, “chiudendoli”ad uno ad uno. Da queste parti succede ancora e chi ci guadagna è il palato.
Non sappiamo con esattezza da quanto tempo esistano i cappelletti, ma un’interessante testimonianza ce ne parla fin dal 1811, quando fu promossa un’indagine sulle tradizioni, le usanze, i dialetti e le superstizioni degli abitanti delle campagne. Nel rapporto dell’allora prefetto di Forlì si legge che: “A Natale presso ogni famiglia si fa una minestra di pasta col ripieno di ricotta che chiamasi cappelletti”. "L'avidità di tale minestra è così generale," egli continua "che da tutti, e massime dai preti, si fanno delle scommesse di chi ne mangia una maggior quantità”. Pare, dunque che già agli inizi 1800 la tradizione dei cappelletti si fosse già affermata.
Non confondiamo il cappelletto col suo cugino bolognese: il tortellino, che nel ripieno contiene carne. La tradizione locale in genere non ammette carne nel ripieno del cappelletto, anche se a volte si possono incontrare eccezioni e, preferibilmente, li vuole in brodo, anche se si sta diffondendo una versione “asciutta”che si accompagna al ragù di carne.
Ma lasciamo la parola al Maestro ed alla sua ricetta:
Pellegrino Artusi Cappelletti all'uso di romagna
Sono così chiamati per la loro forma a cappello.
Ecco il modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo
stomaco.Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi
180. Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e
tritato fine fine colla lunetta.Parmigiano grattato, grammi 30.Uova, uno
intero e un rosso.Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone
a chi piace.Un pizzico di sale.
Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere,
perché gl'ingredienti non corrispondono sempre a un modo. Mancando il
petto di cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale nella
lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera.
Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d'uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo. Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo della grandezza come quello segnato (N.B. circa 6 cm di diametro). Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell'acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c'è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine. A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere. Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su' libri i signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino dall'infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt'altro intenti che a sfogliar libri e fors'anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull'imbraca, e avete un bel tirare per la cavezza ché non si muovono. Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliuolo a sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa, fors'anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe: - Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! - Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala.
- Oh! cavallo di ritorno, esclama il babbo, cos'è stato? - È stato, risponde Carlino, che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a pezzi piuttosto che ritornare in quella galera. - La buona mamma gongolante di gioia corse ad abbracciare il figliuolo e rivolta al marito: - Lascialo fare, disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che occuparsi co' suoi interessi. - Infatti, d'allora in poi gl'interessi di Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un bel baroccino e continui assalti alle giovani contadine.(fonte: Miti di Romagna.it)
Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d'uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo. Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo della grandezza come quello segnato (N.B. circa 6 cm di diametro). Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell'acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c'è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine. A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere. Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su' libri i signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino dall'infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt'altro intenti che a sfogliar libri e fors'anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull'imbraca, e avete un bel tirare per la cavezza ché non si muovono. Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliuolo a sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa, fors'anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe: - Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! - Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala.
- Oh! cavallo di ritorno, esclama il babbo, cos'è stato? - È stato, risponde Carlino, che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a pezzi piuttosto che ritornare in quella galera. - La buona mamma gongolante di gioia corse ad abbracciare il figliuolo e rivolta al marito: - Lascialo fare, disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che occuparsi co' suoi interessi. - Infatti, d'allora in poi gl'interessi di Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un bel baroccino e continui assalti alle giovani contadine.(fonte: Miti di Romagna.it)
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