Che la dimensione cinematografica del gioco del poker sia un espediente spesso utilizzato nel cinema contemporaneo, lo testimonia il fiorire di un gran numero di pellicole che, dal film diretto da John Dahl Il giocatore - Rounders (id., 1998) in poi, hanno reso il tavolo da gioco un vero e proprio personaggio, spesso un protagonista assoluto, nonchè il mezzo per far esplodere psicologismi, soluzioni visive, snodi narrativi improvvisi, sospensioni del tempo e dello spazio.
Capace di esaltare la suspense e allo stesso tempo ideale espediente utilizzato per giustificare repentini cambi di trama o forzate caratterizzazioni dei personaggi, il poker al cinema si rivela un topos straordinariamente aperto a una grammatica cinematografica classicista: diventa così il terreno perfetto per una narrazione visiva spesso giocata semplicemente sul campo-controcampo, sulla geometrica alternanza di primi piani e dettagli.La genesi del rapporto tra poker e cinema ha, perciò, radici che vanno ritrovate in tempi ben più lontani di quelli in cui il Mark McDermott interpretato da Matt Damon nel film di John Dahl dà battaglia ai suoi avversari intorno al tavolo verde (senza scomodare ovviamente La stangata di George Roy Hill, forse il vero classico hollywoodiano dedicato al gioco d'azzardo). Il pathos derivante dal gioco del poker fa la sua comparsa sul grande schermo già al termine degli anni Trenta, ma più in generale in tutto il cinema di genere americano, in particllar modo il gangster-movie e il western.
Già in film come The Plainsman (1936), Three Godfathers (1936) e Sunset Trail (1939) prodotti da MGM e Paramount Pictures il poker sembra essere ufficialmente sdoganato, diventando da subito elemento drammaturgico. Grandi attori come Hopalong Cassidy e John Wayne – per fare solo due nomi tra quelli inclusi nelle pellicole citate - infatti, non sembrano avere alcun problema ad ospitare nei loro lavori la presenza di un elemento che storicamente appartiene al mondo del Far West tanto quanto i Saloon, i Cowboy ed i duelli sotto il sole cocente di mezzogiorno.
La presenza delle partite di poker nei film western, poi, continua per tutti gli anni Quaranta attraversando il decennio sulla sella di titoli come My Little Chickadee (1940), Tall in the Saddle (1944) e Loaded Pistols (1948) ed il celebre Dakota (1945) di Joseph Kane, nel quale il protagonista John Wayne ricopre proprio il ruolo dell’incallito giocatore di poker John Gambler.
Più si va avanti con gli anni e più sembra che il matrimonio tra poker e genere Western sia destinato ad una grande solidità, visto che anche gli anni Cinquanta non segnano un cambiamento grazie alla comparsa di titoli come The Gunfighter (1950) con Gregory Peck e l’ormai mitico Sfida all'Ok Corral (Gunfight at the O.K. Corral,1957), uno dei classici del genere entrati di diritto nell'immaginario collettivo, con le partite di poker aventi la funzione di prologo, quasi una sorta di ludica anticamera al fatidico scontro a fuoco di Tumbstone.
Gli anni Sessanta, con l’avvicinarsi del lento tramonto del genere inteso nelle sue modalità classiche e l'avvento delle versioni violente e crepuscolari della New Hollywood, vedono il poker mantenere il suo ruolo di comprimario in film come Il grande sentiero (Cheyenne Autumn, 1964), terz'ultima pellicola di John Ford e Posta grossa a Dodge City (A Big Hand for Little Lady, 1966) con Henry Fonda a fare da protagonista. Fino ad arrivare al film che forse meglio di ogni altro incarna il legame tra Poker e cinema Western, ovvero il Maverick (id., 1994) di Richard Donner, con Mel Gibson e Jodie Foster. La scena finale - quella dell'asso di picche - è una vera e proprio apologia della suspense in cui il topos del rilancio vincente del protagonista non è relegato all'abilità truffatrice del gambler ma alla cieca fiducia nell'imponderabile. Un atto di fede, che è dichiarazione irrazionale al brivido del gioco d'azzardo. (dal Web)
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