Scarnificato del suo significato reale ed originario, il cinismo,
che dai tempi di Antistene significava una sorta di umiltà nuda di
sovrastrutture, animalesca, propriamente alla stregua di un cane - il
greco κυνός da cui deriva il cinico - nel suo utilizzo ora non include
più la sfumatura di autenticità; resta invece in ballo solo l’essenza di
disprezzo per il formalismo istituzionale e verso tutte le convenienze
simbolicamente approvate e riconosciute come consuetudini.
“Durante
un banchetto gli gettarono delle ossa, come ad un cane. Diogene,
andandosene, pisciò loro addosso, come un cane.” (Diogene Laerzio)
“Una
volta il filosofo Diogene stava cenando con un piatto di lenticchie.
Per caso lo vide Aristippo, filosofo che trascorreva la vita negli agi,
trascorrendo i suoi giorni a corte e adulando il re. Disse Aristippo: -
Caro Diogene, se tu imparassi ad essere ossequioso con il re, non
saresti costretto a dover vivere mangiando robaccia come quelle
lenticchie. Al che Diogene gli rispose: - E se tu avessi imparato a
vivere mangiando lenticchie, ora non saresti costretto ad adulare il
re.”
Questo atteggiamento sprezzante
delle comuni “mores”, abitudini, (perché morale non è etica, ma solo
memoria di giudizi antichi che regolano bacchettando le possibilità
future) molto fuori sede e fuori luogo per chiunque decida che il
passato e la maggioranza stabiliscano le morali, è proprio della follia, la follia di chi ha preferito l’autocoscienza socratica, in versione impazzita e canina, alla moralità dei bisogni convenzionali.
E
questo atteggiamento un po’ da outsider di chi vince in attrattiva,
stando in basso, sotto il pulpito durante una messa e una messe di
giudizi, ed anzi frequentemente proprio fuori dalla porta, accucciato
come un cane (non trovandosi neppure in gara durante i giochi tra i
contendenti) ha sempre il suo ascendente.
Anche su chi non lo capisce, soprattutto per l’effetto perplessità e sorpresa sbigottita che suscita in chi lo scruta.
Ma
l’incanto ha un effetto che perdura solo se e quando l’outsider è
consapevolmente indifferente: all'osservazione, alla gara, al pulpito.
Ed al fatto d’essere un outsider.
Ha effetto, quindi, solo se l'outsider è autenticamente un cane e solo se è in perenne ricerca dell’ αὐτάρκεια rispetto
ai bisogni giudicati superficiali dell’uomo sociale, individuando solo
negli animali, nei mendicanti e nei bambini i modelli di vita naturale.
Quindi, solo se l'outsider è un'autentica strega.
Cinici
erano, dunque, all’inizio, nel IV secolo prima di Cristo, il maestro di
Cinosarge, Diogene e Cratete. Coloro cioè che desideravano rifiutare
tutti quelle necessità non necessarie allo spirito in ricerca
dell’αὐτάρκεια, la capacità essenziale del bastare a se stesso, in nome
di quella forma di autodifesa contrapposta all’insensatezza accettata
dal sociale istituzionalizzato.
Cinici sono
stati, poi, successivamente, ed in un diverso modo, i loro discepoli che
ipocritamente usarono la pratica dei predecessori solo per finalità
personali, applicando la dottrina cinica dell’indifferenza solo nel
momento più conveniente per loro, cioè al momento del saldo di tutti i
loro debiti.
Infine cinico è ora colui che con
atti e con parole, ostenta disprezzo e beffarda indifferenza verso gli
ideali e le convenzioni della società in cui si trova a vivere; colui
che non arrossisce di nulla e per nulla; l'impudente, lo sfacciato.
Ma il cinico che non arrossisce e dissacra anche il di più,
bruciando la stessa terra che calpesta per essere in grado di
sostenersi in piedi a dissacrare ancora, è essenzialmente il disilluso
che ha molta paura di dover scoprire, un giorno, che ha ragione nel non
credere più a nulla, ed altrettanta paura d’essere visto come l’ingenuo
che con asprezza chiama buonista.
Il
nuovo cinico, però, oltre ad essere ruvidamente intimorito è anche
abbastanza scaltro per capire che il buonista è composto della sua
stessa sostanza. E pertanto sente di disprezzarlo ancora di più.
Ma entrambi dicono e tacciono le stesse cose.
Il
buonista ostenta un ottimismo di speranza, ricalca senza spostarsi con
un solo battito di ciglia tutti quei valzer di buoni sentimenti suonati
dai padri e dai nonni di coloro che, ad occhi e sguardi abbassati sulla
strada, non volevano chiedersi nulla per non sentirsi in colpa di non
essere d’accordo.
Il buonista balla senza
sapere se gli piace calpestare le note dei giudizi antichi e sorride di
speranza chiamando tolleranza la sua rassegnazione.
Ed entrambi, i cinici nuovi e i buonisti di sempre, sono perdenti che lamentano se stessi.
Il
cinico disilluso fa del disfattismo la sua forza e del disprezzo il
fascino di tutta una cultura. Sa di non essere distante dal buonista e
s’incattivisce anche un po’ di più quando ci pensa; ma si consola
nell'essere più lucido del suo collega che incautamente chiama ingenuo.
Ma il buonista è tutt'altro che un ingenuo, se il significato corretto del termine è di persona indigena,
perché se in principio è nato libero, certo il buonista con il tempo
non lo è più, allacciato in convenevoli di cui troppe volte non conosce
neppure il significato.
E’ legato e speranzoso a forza.
E la speranza, non solo è l’ultima a morire (purtroppo) ma è anche l’opposto di una fede.
Perché la fede è certezza, ed è molto lontana dall'azzardo della speranza che può essere un "si" come un "no" e può essere un "ti prego" o un "per favore" che si disfano in una disfatta incertezza già al momento del loro chiedere.
Risultano
irritanti entrambi: i buonisti che fanno del loro ottimismo di speranza
senza convinzione la loro inconcludente certezza, ed i cinici moderni,
che hanno fatto della loro paura un leopardiano pessimismo cosmico
condito di teorie scientificamente assestate da altre menti. Altre menti
che però, guarda caso, avevano dimostrato un’eccezionale fede nel
perseguirle…(ed ecco i paradossi che tornano, sempre).
E se risultano così irritanti i due fratellini cinici e buonisti è perché sia gli uni sia gli altri sono artificiosi.
Su
questo punto, quindi, hanno ragione i disfattisti seguaci del cinismo
moderno: non sono ingenui (se per ingenui leggiamo nati liberi) neppure
loro.
Perché se i buonisti non sono ingenui
in quanto non liberi dalle regole e dalle convinzioni delle morali
altrui; loro, i nuovi cinici, svincolati da questi convenevoli a passi
di valzer, non sono svincolati dalla loro sfiduciata cecità e
dall'orrore di non riuscire a disprezzare senza sentirsi infreddoliti e
minacciati da una spontaneità che continuano a temere possa essere
banale.
Ed allora ha
tremendamente ragione quell'uomo che ha saputo divertirsi magistralmente
con la noia e la paura abbigliandole di abbondante ironia, e che alla
fine del 1800 affermava:
"Un cinico è un uomo che conosce il prezzo di tutto ed il valore di nulla."
Oscar Wilde, Il ventaglio di lady Windermere, 1892 (fonte Elettrikamente)
Che dire? Ti ringrazio per avermi letto e per avermi citato; mi aveva un po' stupito trovare il mio post sulla differenza inesistente tra cinismo e buonismo in un blog prevalentemente di poker sportivo ma quale titolo si addice meglio di quello che rimanda al... prezzo di tutto ed il valore di nulla? ;-) Saluti! ElettrikaPsike.
RispondiEliminaCiao,scusa il ritardo ma è un periodo un po' complesso.Mi è piaciuto molto quanto hai scritto e l'ho riportato,citarti era il minimo:) Un abbraccio e buon 2015 Elettrika Psike
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