Se i film americani hanno sempre dipinto il mondo del gioco e delle carte con i loro tipici toni ottimistici, mettendolo per esempio come sfondo a vicende di riscatto personale (21) o affermazione professionale (Il giocatore), il nostro cinema ha preferito più volte interessarsi al suo lato drammatico, usando la suspense del tavolo verde come detonatore di conflitti privati ed esistenziali (Regalo di Natale) o di un vero e proprio disagio economico e sociale.
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Non è perciò un caso che Lo scopone scientifico, commedia nera dal finale acidissimo di un maestro come Luigi Comencini, risalga al 1972, all’inizio di uno dei decenni più cupi e difficili per la storia del nostro Paese. La brillante sceneggiatura firmata da Rodolfo Sonego procede abilmente sul doppio binario dell’intrattenimento e di una strisciante satira politica (la vecchia che sfoglia l’album fotografico delle sue “vittime” è una sintesi efficace del neo-colonialismo americano che proprio in quegli anni era protagonista di tristi pagine di storia) e utilizza il gioco come riuscita metafora dell’eterno conflitto tra ricchi e poveri. La grande tradizione italiana in materia fa sì che il gioco venga comunque rappresentato come un’arte di sottile furbizia, destinata solo agli ingegni più acuti, che considera fumo negli occhi le scorciatoie e la sbruffoneria di chi si dichiara imbattibile (come nel caso di Righetto, il personaggio curiosamente interpretato da Domenico Modugno). Ecco dunque che Antonia, abilissima giocatrice, incenerisce con uno sguardo il consorte un po’ ingenuotto che protesta: “Come faccio a conoscere le carte dell’avversario
se non gliele posso guardare
di nascosto?”.
Grazie a un ritmo infallibile, alimentato con iniezioni via via sempre più robuste di grottesco da una bella squadra di caratteristi (spicca il “professore” di Mario Carotenuto, una delle storiche facce del cinema popolare anni ’70), Lo scopone scientifico fu uno degli ultimi acuti della grande stagione della commedia all’italiana. è un film insolitamente “cattivo” per lo stile lieve e delicato di Comencini che, comunque, non rinuncia ad alcuni tratti distintivi della sua poetica, come l’attenzione per i bambini (che avranno un ruolo determinante nella conclusione). Oltre al solito, impagabile Alberto Sordi nel suo classico personaggio del vigliacco cuor d’oro, segnaliamo naturalmente la leggendaria Bette Davis giunta ai titoli di coda di una carriera che negli ultimi anni la vedeva sempre costretta in ruoli di megera avvizzita.(Web)
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