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mercoledì 31 maggio 2017

Una partita a poker che non merita di essere giocata: INCEPTION (Leonardo Di Caprio)


Vi siete mai seduti a un tavolo di poker? È un gioco affascinante, e una volta che impari ti diverti parecchio, perché ogni mano può mutare radicalmente la tua situazione: ora vinci, ora perdi, un minuto fa avevi più soldi di tutti gli altri messi insieme, e adesso invece ti tocca rifornirti dal croupier.


La vera sfida, nel poker, non riguarda tanto le carte (o meglio, non solo quelle), ma il fattore umano. Chiaramente per essere un buon giocatore devi innanzitutto imparare le regole, ma una volta assodata la differenza fra una scala e il colore puoi focalizzarti sulla partita vera, quella delle emozioni: a un tavolo verde menti, ti esalti, nascondi l’entusiasmo, cadi inevitabilmente in qualche trappola e magari subito dopo ti prendi la rivincita. È quella l’essenza del gioco.

Guardare Inception è come sedersi per la prima volta a un tavolo da poker senza conoscere le regole e senza l’aiuto di qualcuno che te le spieghi. Difficile, direte voi, ma si può fare, e in fondo uno non va a vedere un film di Christopher Nolan se non ha un certo gusto per le sfide. Metti in conto che, all’inizio, comprenderai solo le regole generali (le carte vengono servite in senso orario, ne puoi cambiare alcune, vince chi ha il punteggio più alto), ma sei anche fiducioso di cogliere, in fretta, le differenze più specifiche (i cuori battono i fiori etc.).

Pensate a Memento, il primo vero successo del regista inglese: è la storia di un uomo che soffre di memoria breve, per cui non ricorda quello che è successo il giorno prima. Il montaggio del film è pensato in maniera tale da metterci nella stessa condizione del protagonista: a noi, come a lui, mancano interi blocchi del suo passato. All’inizio è straniante, perché questo tizio si sveglia la mattina e non riconosce la persona con cui ha bevuto una birra la sera prima. Tuttavia, dopo un po’, capiamo le regole del gioco, ed entriamo nella sua stessa condizione mentale. Al punto da soffrire insieme a lui per il suo dolore. Insomma, anche quella è una partita a poker, e anche lì nessuno ci spiega le regole in anticipo, ma si può giocare.

Inception invece, per quanto mi riguarda, è una sfida che non vale la pena affrontare, e non perché il gioco non sia interessante, ma perché Nolan sembra fare di tutto per impedirci di capire come funziona, e quando lo stimolo intellettuale si riduce a tecnicismo, un film non ha più niente da dire. E a parlare è un sincero fan del regista inglese.

L’idea di base è molto intrigante: Don Cobb (Leonardo Di Caprio) è un ladro di memorie. Addormenta la gente e si intrufola nel loro subconscio, cercando di carpire segreti da rivendere. Questo significa che, da un punto di vista narrativo, la storia alterna momenti reali e onirici: in una scena Di Caprio è in Giappone, in una villa sul mare, e in quella dopo è in uno squallido appartamento che sta per essere attaccato da una folla di rivoluzionari sudamericani. Quello che vediamo potrebbe essere sia sogno che realtà: non lo possiamo sapere in anticipo, lo scopriremo soltanto al termine dell’azione.

Come capirete bene, questa prima regola non è impossibile da comprendere, ma richiede anche un minimo di osservazione, almeno un paio di sequenze: non possiamo apprezzare il passaggio dream / reality se non abbiamo conosciuto le due dimensioni distintamente. Insomma: già questa è una partita a poker. Nolan ci chiede uno sforzo intellettivo, e fin qui ci siamo. Quello che, a mio avviso, deteriora le cose è che il regista non ci mette in condizione di cogliere davvero il suo meccanismo: l’inizio del film, come scopriremo presto, è già un’eccezione alla regola.



Don Cobb, infatti, è impegnato in una particolare tecnica di estrazione dei ricordi che richiede un sogno nel sogno. La scena in Giappone era un sogno. I nostri si risvegliano nello squallido appartamento, e tu intuisci che quella è la realtà. Ma poi anche lo squallido appartamento si rivela essere, a sua volta, un sogno. La vera realtà è Di Caprio nel vagone di un treno. Che è più o meno come invitare una persona a giocare a poker, e invece farla giocare a telesina: ancora non so cos’è il full, e se è meglio o peggio del tris, ma il croupier mi chiede di puntare avendo solo due carte in mano, una coperta e una scoperta. E come faccio a capire se il mio avversario è messo meglio o peggio di me?


A questo punto, è il caso di dirlo, Nolan cambia completamente le carte in tavola. Come se il mondo che sta creando non sia già abbastanza complesso, ci aggiunge una ulteriore variante: la missione che affronterà Cobb nel film non sarà di rubare un ricordo dalla memoria di una persona, bensì di installare – è questa l’inception – un desiderio nell’inconscio del soggetto in questione. Per la cronaca: il nostro eroe dovrà trovare un modo per far nascere la volontà, nella mente di un ricco industriale, di scorporare la sua potente compagnia; chiaramente, il cliente di Cobb è l’industriale avversario. Per tornare alla metafora da cui siamo partiti, è come se ti siedi al tavolo verde e invece del poker tradizionale giochi a una telesina in cui le carte non sono quelle del mazzo francese ma della briscola, vengono date in senso antiorario, e il croupier si rivolge a te in aramaico.


La storia, proprio a causa di questa struttura contorta, si sviluppa alternando lunghe spiegazioni a scene di fuga e di lotta. È innegabile che il film abbia un notevole impatto visivo, e non mi riferisco solo agli inseguimenti e alle battaglie – alcune in puro stile Matrix; anche nei momenti più ‘didattici’, per esempio quando Di Caprio e i suoi costruiscono il mondo onirico della truffa, gli effetti speciali sono impressionanti. Ma non basta. La verità è che questa volta Nolan è rimasto intrappolato nella gabbia che lui stesso ha creato: la pellicola sarà pure un piacere per gli occhi, ma se passi tutto il tempo a cercare di capire le regole del gioco, non ti godi la partita. E un film, come una partita di poker, è fatta di emozioni.

Di Caprio, a nostro avviso, non ha demeriti: il suo sguardo è intenso e sofferente; il problema è che la sceneggiatura non lo supporta, direi che non c’è il tanto per permettergli di essere convincente. Ha un trauma personale che lo affligge, ma la sua storia non ci coinvolge davvero. E senz’altro non è d’aiuto la Cotillard, attrice meravigliosa ma per una volta non a suo agio nella parte: sarà l’accento francese, ma la sua interpretazione ci è parsa particolarmente inefficace. Da ultimo, il film contiene anche un (in)diretto riferimento al suo ruolo in La Vie En Rose, in particolare alla colonna sonora, e dobbiamo dire che ci è sembrato del tutto unnecessary, e anzi un po’ cheap per un regista di culto come Nolan. (BlogWeb)

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